Nel reparti di frutta e verdura di qualunque supermercato troviamo solo prodotti dall’aspetto impeccabile, uniformi e privi di difetti. Ma in natura le zucchine non sono tutte dritte e alcune carote hanno due gambe, solo per fare qualche esempio. Così a ogni raccolto un produttore è costretto a scartare tutto quello che non corrisponde ai canoni estetici o dimensionali della Grande Distribuzione (GDO), a prescindere dall’effettiva qualità e bontà del prodotto.
Sconvolti dalle dimensioni e dall’impatto socio-economico dello spreco nella filiera agroalimentare, Camilla Archi e Luca Bolognesi nel 2017 fondano Bella Dentro, dopo mesi di ricerca a contatto diretto con i produttori agricoli italiani. Iniziano così a comprare dagli agricoltori italiani – pagandola al giusto prezzo – frutta e verdura dalle forma bizzarra e a rivenderla su un’ape in giro per Milano.
Il progetto funziona e, a tre anni dall’inizio di quest’avventura, aprono un negozio fisso e avviano una collaborazione con l’Officina Cooperativa Sociale di Codogno, che impiega ragazzi e ragazze affette da autismo e ritardi cognitivi nella trasformazione di frutta e verdura in essiccati, marmellate e succhi.
Ci racconta qualcosa di più Camilla, oltre ad aggiornarci sui loro progetti per il futuro.
D.: Tra tutte le storie dei prodotti belli dentro di cui sei venuta a conoscenza, ce n’è una che ti ha colpito in modo particolare?
R.: Ogni storia in realtà ha le sue peculiarità assurde, ma forse la più ridicola è quelle delle noci. Prima di tutto perché è un prodotto con un valore di mercato molto alto, per cui non ti aspetti che possa essere
buttata via e umiliata solo per un difetto estetico, che tra l’altro riguarda il guscio. È una a parte che – anche volendo – non può essere mangiata.
In generale ci infastidisce molto che all’agricoltore non venga riconosciuto il valore del suo prodotto.
Tanta gente ci chiede sorpresa perché paghiamo (e quindi perché non ci vengono regalati) dei prodotti che altrimenti verrebbero buttati e per noi è sbagliato perché parlare di sostenibilità ambientale senza parlare
di sostenibilità economica e sociale non ha senso.
Nell’immaginario collettivo l’agricoltore italiano è appassionato del suo lavoro, ma povero, anziano e magari anche ignorante. Invece le nostre imprese agricole sono aziende a tutti gli effetti, con 100-200
ettari di terreno e decine di dipendenti. Siamo un paese a vocazione agricola e, se non bistrattassimo l’agricoltura, sarebbe un motore a livello economico. Spesso viene considerato sostenibile solo il piccolo orticello biologico, mentre quello che non è sostenibile è che aziende di queste dimensioni, che potrebbero dar lavoro a tante persone e sostenere davvero l’economia del paese, vengano umiliate così.
D.: A proposito di agricoltura sostenibile, secondo te il consumatore associa un prodotto esteticamente non convenzionale a una coltivazione biologica?
R.: Questo è uno dei tanti luoghi comuni che proviamo a scardinare. Combattiamo contro questo stereotipo anche con i nostri clienti, che spesso danno per scontato che la roba brutta sia la più buona, quando invece non è così, proprio come non è vero il contrario. La roba buona è buona a prescindere dal fatto che sia bella o brutta. Il biologico all’inizio era esente da questo tipo di problema perché l’aspetto strano di un prodotto faceva pensare che fosse più naturale. Tuttavia, adesso che il prodotto biologico è sempre più consumato finisce per essere anch’esso vittima di questa forma di spreco. Oggi chi compra nel supermercato biologico non si aspetta di trovare prodotti brutti o strani.
D.: Ma secondo te il consumatore medio, che preferisce il prodotto esteticamente gradevole, lo fa perché considera effettivamente buono solo ciò che è ha un bell’aspetto o perché la società e la pubblicità ci spingono a preferire un alimento per come si presenta a prescindere dal gusto?
R.: Un po’ è la nostra forma mentis: ormai prima fotografiamo quello che abbiamo nel piatto e poi lo mangiamo. Spesso lo condividiamo sui social ancora prima di assaggiarlo e sapere se è buono.
È proprio come succede nel mondo della moda, dove lustrini e paillettes contano più della comodità di un capo d’abbigliamento o del fatto che un cappotto sia effettivamente in grado di riscaldarti in inverno. Noto sempre di più come certe campagne di comunicazione di prodotti alimentari sembrino piuttosto la pubblicità di una borsa. Poi dipende anche dal fatto che, se per decenni siamo stati abituati a vedere al supermercato solo mele perfette, quando compare un’eccezione siamo portati a scartarla e scegliere quelle che abbiamo sempre comprato (perché è quella che c’è stata sempre proposta dal mercato). La GDO, dal canto suo, continua a tenere in vendita solo quelle belle perché sa che il consumatore compra quelle. Possiamo dire che è un concorso di colpa.
D.: Come Rete abbiamo già parlato dello spreco alimentare nelle nostre case. Per quanto riguarda i primi passaggi della filiera, qualche tempo fa la percentuale di spreco alimentare all’origine si attestava tra il 20% e il 60%, a seconda delle condizioni atmosferiche. È ancora così?
R.: Sì, anche se un aumento della percentuale è inevitabile per la frequenza degli agenti atmosferici avversi, che si tratti di grandine, siccità o gelate. È sempre più probabile che si verifichino eventi atmosferici estremi e il 2020 è stato un anno disastroso da questo punto di vista. Diciamo che il 20% è scartato già al momento della raccolta dagli operai, che sono tenuti a conferire solo quanto conforme a determinati standard di forma, dimensione e caratteristiche della buccia. Una grandinata, come altri eventi atmosferici estremi, può far crescere le dimensioni dello spreco fino all’80%.
D.: Siete stati premiati da Gambero Rosso e invitati alla FAO a presentare il vostro progetto. Secondo te questo genere di riconoscimenti vi darà nel tempo l’autorevolezza per avviare un dialogo con la GDO?
R.: Un altro tipo di riconoscimento che ci ha stupiti è stata la menzione d’onore del Compasso d’Oro (importante riconoscimento dell’Associazione per il Disegno Industriale, n.d.r.). Ci ha fatto molto piacere perché l’abbiamo ricevuto per la progettazione di Bella Dentro pur non avendo costruito niente, ma ma ad essere premiato è stato proprio il design del nostro progetto.
Su un certo tipo di pubblico questi riconoscimenti ci rendono sicuramente più autorevoli, ma non tanto agli occhi della GDO. Hanno più che altro l’effetto di farci balzare agli onori della cronaca, per cui ci aspettiamo che nascano progetti simili. Ci saranno persone che capiranno che così è possibile vendere di più e non per forza perché pensano che sia effettivamente giusto.
Ben venga, comunque, se sarà davvero così, perché il nostro desiderio è quello di creare una filiera concreta e sostenibile dall’inizio alla fine in modo che questo problema si risolve. Pensare di rimanere senza concorrenza è impossibile, però ci aspettiamo anche che ci decida di replicare un progetto come Bella Dentro sia disposto a pagare al produttore il giusto prezzo, perché è questo quello che ci differenzia sul mercato, non il solo fatto di vendere la roba brutta. Quella è una cosa che tutti possono essere in grado di fare.
Noi abbiamo scelto di vendere a prezzi più convenienti della GDO, ma non bassi, proprio per garantire il guadagno al produttore; ma non possono essere neanche prezzi eccessivamente alti solo perché è un’iniziativa diversa. L’obbiettivo è proprio quello di farla pagare quanto la frutta e verdura bella in vendita, perché ha lo stesso valore.
D.: Le risorse che abbiamo a disposizione si stanno esaurendo sempre di più. Pensi che si possa verificare un’inversione di tendenza, visto che sarà sempre più necessario evitare lo spreco di queste risorse?
R.: Noi essere umani ci accorgiamo delle cose solo quando è troppo tardi. Lo vedo un cambiamento relativamente possibile, perché c’è un’esigenza di mercato: quella di garantire un’offerta bassa per mantenere una quotazione alta. Il problema si verificherà quando la produzione crollerà o quando costerà tantissimo produrre qualunque cosa.
D.: Puoi concederci un piccolo spoiler sui prossimi passi che avete in programma?
R.: Quest’anno lavoreremo molto su due cose: prima di tutto sulla trasformazione, che per noi ha un’importanza fondamentale perché ci permette di salvare sempre più frutta e verdura, superando il problema delle deperibilità del prodotto fresco; quindi possiamo permetterci di ordinare, ad esempio, non 8 quintali di mele, ma il doppio, perché metà va direttamente al laboratorio di trasformazione. Poi dà un valore aggiunto al prodotto, grazie al lavoro dei ragazzi dell’Officina e al tipo di prodotto che viene realizzato.
Sicuramente racconteremo di più di questi prodotti, soprattutto degli essiccati, in cui crediamo tantissimo. Inizieremo a collaborare anche con un’altra cooperativa aumentando la gamma dei prodotti, perché per
fortuna c’è tanto lavoro da fare e, per quanto i ragazzi dell’Officina siano bravi, non riescono a gestirlo da soli. Poi apriremo altri negozi perché crediamo molto nel valore umano del piccolo negozio di frutta e
verdura di quartiere e nella voglia della gente di fare la spesa come si faceva un tempo.
Volete rivolgervi direttamente alla GDO per richiedere un cambiamento? In questo articolo trovate una lettera pronta per essere scaricata e inviata.
Intervista a cura di Miranda Finocchiaro, editing a cura di Lucia Cucchi e Anita Mori.