In occasione del Plastic Free July, ospitiamo un articolo a firma di di Stefania Magnani*, dedicato al tema della bioplastica.
Spesso inconsciamente associamo il termine “bio” al concetto di “innocuo” per l’ambiente, ma non è (sempre) così. Lo scopo di questo articolo è dare una sbirciata nel vasto mondo delle bioplastiche.
Con il termine bioplastica si indica una grande varietà di materiali di origine naturale, cioè non derivati dal petrolio con cui si produce la plastica normale, ma con caratteristiche molto diverse.
Sono tutte biodegradabili?
No, questa è la grande differenza tra le diverse bioplastiche.
Può venire da chiedersi perché, visto che sono tutte di origine organica. Possiamo dire che la plastica sia una catena costruita da tanti mattoncini (è, cioè, un polimero); il fatto che sia biodegradabile o meno dipende non solo dal tipo di mattoncini che la costituiscono, ma in gran parte anche da come questi mattoncini sono messi insieme e da quanto è facile “smontare” questa catena.
Quindi noi possiamo prendere qualcosa di naturale e biodegradabile come la canna da zucchero e il mais e produrre due bioplastiche molto diverse fra loro:
- con il mais possiamo produrre il famoso “mater-bi” (brevettato da Novamont), che è quello con cui per esempio si fanno i sacchettini per la raccolta dell’umido;
- con la canna da zucchero invece possiamo produrre un bio PET, ovvero l’equivalente di origine naturale del PET prodotto da petrolio, con cui sono fatte per esempio le bottiglie e alcuni flaconi. Essendo però, appunto, un analogo del PET, il bio PET NON è biodegradabile! I mattoncini che costituiscono il bio PET, anche se sono di origine naturale, sono “messi insieme” in modo da creare una catena analoga a quella del PET tradizionale, che non è biodegradabile, come sappiamo.
Il bio PET è più sostenibile del PET tradizionale?
Nì. Se guardiamo all’origine della materia prima, probabilmente è più sostenibile quando lo confrontiamo con un PET “vergine”, ma non é detto che sia più sostenibile di un PET tradizionale riciclato, prodotto con le bottiglie raccolte con la raccolta differenziata (ecco un’analisi LCA che sarebbe bello fare!).
Oltretutto, non è detto che il bio PET sia al 100% di origine organica, può esserlo solo in parte. Di certo, ha dalla sua parte il vantaggio che, come il PET tradizionale, è riciclabile, mentre le bioplastiche biodegradabili non lo sono.
Quello che mi preme trasmettere con questo articolo è che non per forza una bioplastica è innocua: se avete fra le mani un flacone di bioplastica, non abbandonatelo nell’ambiente pensando che essendo “bio” si decomporrà, perché non è per forza così.
Il materiale d’origine
C’è poi un’altra questione riguardante le bioplastiche ed è l’origine del materiale per produrle. Come per i biocombustibili, c’è il rischio che la produzione di bioplastiche entri in competizione con la produzione di prodotti alimentari, quando il materiale che ne è alla base è una coltura alimentare (per esempio, appunto, il mais).
La competizione può essere anche indiretta, quando le colture per la bioplastica sottraggano suolo e acqua dolce alle colture alimentari.
Fonti sostenibili per la produzione di bioplastica
Dove si colloca bene, allora, la bioplastica? Per esempio, dove non é ottenuta da colture alimentari e permette di sfruttare terreni non adatti alla loro coltivazione, magari in zone dove non c’è scarsità idrica. In Indonesia, per esempio, si produce plastica a partire dall’amido estratto dalla cassava, che in Indonesia non é una coltura alimentare, ma è comunque una pianta indigena (Ecoplas di Greenhope).
Un’altra opzione molto interessante è l’utilizzo di alghe come materia prima. Esiste a riguardo uno studio dell’università di Tel Aviv e alcune fabbriche utilizzano già il processo sviluppato dall’ateneo. I vantaggi dell’uso delle alghe sono molti: non sono colture alimentari, non necessitano di suolo né di acqua dolce: ottimo per Paesi con scarsità idrica ma che si affacciano sul mare. In questo caso particolare, è un batterio che utilizza normalmente le alghe per produrre i “mattoncini” a cui accennavamo prima. Si stanno attualmente cercando le combinazioni migliori “alga-batterio”, per produrre diversi tipi di plastiche con proprietà differenti. (dell’articolo di parla su rinnovabili.it, l’articolo originale è stato pubblicato su Bioresource technology).
Come risolvere la questione?
Non esiste una soluzione unica e magica al problema della plastica. Ridurre i prodotti usa e getta, massimizzare il riuso di ogni cosa e infine riciclare il materiale sono le azioni da intraprendere, ma certo la produzione di materiali biodegradabili può essere d’aiuto. Per questi ultimi, la chiave potrebbe essere la diversificazione, ovvero che ogni Paese produca bioplastiche in base ai materiali a sua disposizione e in funzione delle proprie peculiarità: alghe, residui agricoli, eccedenze di colture alimentare che altrimenti sarebbero distrutte, coltivazioni che sfruttino terreni non utilizzabili per le colture alimentari, anche rifiuti organici dove possibile.
Di sicuro la bioplastica non rappresenta LA soluzione e non bisogna abusarne, perchè comunque la sua produzione ha un impatto, così come il suo smaltimento. Ricordiamoci che la bioplastica, quando compostabile, viene comunque smaltita con la frazione umida dei rifiuti, quindi è sottoposta a un trattamento in impianti dedicati, che hanno ovviamente un impatto ambientale.
Insomma, ridurre è sempre la strada migliore!
* Ingegnere ambientale, autrice di una Tesi di laurea specialistica dal titolo Plastic waste: LCA of different management scenarios, incentrata sui rifiuti in plastica. Stefania, nella sua carriera professionale, si dedica principalmente sul fronte del trattamento acque ed è specializzata nelle tecnologie di risanamento ambientale.