Nel parlare dell’impatto ambientale dei nostri stili di vita, è facile imbattersi in due atteggiamenti antitetici: da una parte c’è chi promuove l’azione individuale come l’origine e unica soluzione dei problemi ambientali; dall’altra c’è chi disdegna la nozione di responsabilità dei singoli e ne minimizza gli sforzi, in quanto il problema sarebbe sostanzialmente ‘sistemico’.
Questo dualismo riduce il dibattito, bloccandolo in una logica dello scontro. Sebbene l’entità del problema abbia una dimensione indubbiamente sistemica, sappiamo ormai che una percentuale molto rilevante delle emissioni a effetto serra (stimata tra il 50% e il 72% del totale) sia riconducibile agli stili di vita individuali, in particolare delle economie più avanzate. (1)
Riconoscere l’importanza dell’azione individuale non significa negare la dimensione sistemico-politica del problema, né tantomeno ripiegare su una mera individualizzazione della responsabilità che tanto comodo farebbe alla politica e all’industria.
Come scrive Tim Jackson in una lunga analisi, il consumismo è una gabbia di ferro in cui:
- Le persone subiscono giornalmente il paragone materialistico con gli altri, e sono spinte a consumare per segnalare il proprio valore sociale, la loro idoneità a far parte o a guidare il gregge.
- Le imprese sono obbligate a inventarsi continuamente nuovi prodotti per non soccombere nella competizione globale.
- I governi che non garantiscono la prosperità dei consumi sono destinati a cadere.
Sebbene sia difficile pensare che una di queste tre parti possa cambiare senza che cambino le altre, è imprescindibile che ciascuna si operi immediatamente per farlo. Non c’è più tempo per rimbalzarci la palla, chiedendoci chi sia più responsabile degli altri, o chi dei tre debba iniziare. La nostra casa sta bruciando, persino letteralmente, come questa triste estate australiana ha dimostrato.
La Rete Zero Waste vuole affiancare, unire, far crescere una comunità di persone che vogliono farsi autrici ed autori di questo cambiamento. Persone che partendo da se stesse, vogliono alleviare il proprio impatto ambientale, interagendo e confrontandosi con altre persone. Questo percorso porta anche a scoprire, e sostenere realtà, anche a livello istituzionale e d’impresa, che si stanno muovendo nella stessa direzione.
E io cosa posso fare?
Crediti immagine: agenzia Saatchi & Saatchi per WWF.
Verrebbe istintivo dire che l’emergenza climatica non è colpa nostra, che è il sistema che ci vuole così, spendaccioni, sbadati, vanesi e molto preoccupati con l’erba del vicino. Viviamo in un sistema altamente ingegnerizzato per sfruttare queste debolezze umane.
Tuttavia, non possiamo accusare un sistema contro il quale non ci siamo ribellati. Se riconosciamo le colpe delle sovrastrutture che guidano i nostri stili di vita, che influenzano e in gran parte decidono quello a cui aspiriamo, il prossimo passo sarebbe prendere posizione con piccoli gesti di ordinaria, e ci auguriamo, moltitudinaria ribellione.
Magari vi serve la macchina per lavoro, non avete alternativa.
Eventualmente vorreste elettrificare il riscaldamento in casa installando a una pompa di calore, ma sentite di non poter sostenere l’investimento o temete una bolletta dell’elettricità troppo cara.
Vi piacerebbe fare spesa sfusa al 100% ma i negozi ad una distanza percorribile non dispongono di tutti gli ingredienti sfusi che vorreste. Vi chiedete se a conti fatti, i chilometri addizionali percorsi in macchina per raggiungerli non siano peggio per l’ambiente.
Nessuno può fare tutto. Non ancora perlomeno. E a volte non è chiaro quale tra le alternative disponibili sia la più sostenibile. Ci sono alcuni esempi, dedicati, coraggiosi, di gente che vive autoproducendo tutto il suo cibo, o chi vive senza produrre spazzatura. Servono da ispirazione, ma questi stili vita non sono attualmente replicabili per tutti.
Nessuno può fare tutto, ma tutti possono fare qualcosa. È dunque necessario trovare un equilibrio tra il fare ciò che le circostanze ci permettono e al tempo stesso adoperarci per spingere quei limiti un po’ più in là.
Spesso sentiamo dire che una goccia nel mare non cambia nulla. Sebbene sia vero che una persona da sola non possa risolvere i mali del mondo, il cambiamento collettivo nasce da singoli gesti che si sommano ad altri fino a divenire massa critica. Come ha riportato uno studio recente pubblicato sull’autorevole rivista Science, per cambiare il mondo “basterebbero” il 25% dei membri di un gruppo.
Nella marea di eco consigli, di ostacoli e ricette più o meno plausibili è difficile orientarsi. Quali sono le azioni che contano di più? È più importante comprare meno vestiti o rifiutare il pane imballato?
Proprio tenendo conto di queste difficoltà abbiamo lanciato una nuova rubrica instagram #eiochepossofare– a breve sul sito. L’obiettivo è quello di proporvi, studi alla mano, la lista delle azioni più importanti da intraprendere per ridurre il vostro impatto. Si tratta di semplici gesti per non lasciarsi sopraffare dal senso di impotenza, o dal senso di colpa. Se non si può fare tutto forse è meglio quantomeno sapere su quali azioni concrete sia meglio riporre le proprie energie, nei limiti delle nostre circostanze personali.
Crediti foto copertina: Madison Yocum su Unsplash.
(1) Fonti:
- Gore, T. (2015). Extreme Carbon Inequality: Why the Paris climate deal must put the poorest, lowest emitting and most vulnerable people first Report (Oxford: Oxfam International).
- Dubois, G., Sovacool, B., Aall, C., Nilsson, M., Barbier, C., Herrmann, A., Sauerborn, R. (2019). It starts at home? Climate policies targeting household consumption and behavioral decisions are key to low-carbon futures. Energy Research and Social Science, 52(January), 144–158.