Ottobre 2018. L’IPCC pubblica il rapporto SR 1.5. Il suo titolo è inequivocabile: “Un rapporto speciale dell’IPCC sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali e sugli andamenti correlati delle emissioni globali di gas serra, nel contesto di un rafforzamento della risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per debellare la povertà.”
Questo sommario per i decisori politici riassume in 29 pagine gli scenari più probabili legati al riscaldamento globale e i fattori di rischio per la civiltà umana. Non ne faremo un riassunto, ma invitiamo a leggerlo o leggerne le versioni successive: la sensazione è quella di essere sul Titanic: stiamo andando a tutta velocità verso l’iceberg, ma il capitano fa finta di nulla.
E i passeggeri?
Mentre alcuni, nel guardare fuori dall’oblò, vengono colti da un certo senso di panico, nel 2018 la maggior parte di loro non si è ancora completamente resa conto di navigare in acque pericolose.
Molti di noi appartengono sicuramente alla prima categoria e, probabilmente, oltre al panico associano a quel periodo anche una certa sensazione di solitudine e la voglia di cambiare le cose.
Cosa fare quindi? È tempo di guardarsi attorno e rimboccarsi le maniche: nel 2018 in Francia è già partita l’iniziativa Il est encore temps, precursore di Fridays for Future. Anche in Svezia lo sciopero di una ragazzina ancora semisconosciuta, Greta Thunberg, inizia ad avere un discreto successo.
Il resto dell’Europa è leggermente in ritardo, ma dopo la pubblicazione del rapporto IPCC è impossibile non reagire e così tra novembre e dicembre 2018 iniziano anche in Italia le prime manifestazioni. Si parte in pochi, ma con la consapevolezza di non essere soli e di crescere di settimana in settimana. La costanza premia e a marzo 2019, al primo sciopero generale, le grandi città italiane ed europee registrano migliaia di partecipanti e il tema è finalmente trattato anche sui principali giornali e telegiornali nazionali.
Che cosa chiede Fridays for Future?
Fondamentalmente, FFF esorta ad attuare tutti quei cambiamenti che porterebbero all’abbandono completo dei combustibili fossili e al conseguimento dell’obiettivo emissioni 0 prima che sia troppo tardi.
Le aree di intervento principale (come riportato sulla loro pagina ufficiale) sono:
- il settore energetico, in cui si auspicano la transizione dal modello delle fonti fossili a quello delle energie pulite e rinnovabili, oltre che sostanziosi interventi per il risparmio e l’efficienza energetica
- il settore alimentare, con la richiesta di tagliare i sussidi agli allevamenti e altre attività agricole non sostenibili sia dal punto di vista economico che ambientale
- il settore dei trasporti, in cui sarebbe necessaria una rilevante riduzione dei consumi di benzina, gasolio e gas, offrendo alternative efficienti a milioni di pendolari e investendo nel trasporto pubblico
Queste sono le richieste che vengono portare in piazza ogni settimana, con il beneplacito della comunità scientifica, di cui FFF ormai è a tutti gli effetti portavoce.
Che cosa è cambiato finora?
Poco, purtroppo.
Anche se la percezione del tema è certamente cambiata radicalmente nell’ultimo anno e mezzo, in pochissimi casi questa nuova sensibilizzazione si è tradotta in impegni concreti da parte dei governi.
La Germania ha annunciato la chiusura delle centrali a carbone, ma solo dal 2038, decisamente troppo tardi. A ciò si aggiunge il fatto che, contemporaneamente, il 2019 è stato l’anno in cui si è investito di meno nelle rinnovabili.
L’Italia si è buttata a capofitto sulla formazione. Nel 2019 Lorenzo Fioramonti, (ormai ex) Ministro presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha affermato che nel 2020 l’Italia sarebbe stato il primo Paese al mondo dove lo studio dei cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile sarà obbligatorio. Purtroppo dopo le sue dimissioni è stato diffuso un comunicato dell’Associazione Nazionale Presidi (Anp), che cita un programma di educazione ambientale siglato in collaborazione con Eni, una delle più grandi aziende petrolifere al mondo (non esente da catastrofi ambientali).
La vera delusione, però, è stata la COP 25, che si è conclusa in maniera fallimentare. Durante questo evento, su cui la comunità ambientalista faceva affidamento, i decisori politici non sono riusciti a trovare un accordo su impegni sostanziali che contribuirebbero a raggiungere gli obiettivi.
Cosa resta da fare?
Continuare a lottare!
Consapevoli di quanto sia difficile confrontarsi con questa emergenza come singoli individui, la Rete Zero Waste fin dalla propria nascita ha cercato di proporre soluzioni alla portata di tutti, per contribuire a portare un cambiamento nel proprio quotidiano attraverso gesti semplici, che tuttavia invitano a una riflessione più ampia e il cui impatto, grazie anche alla crescita costante della filosofia zero waste, non può più essere sottovalutato.
Come Rete Zero Waste continueremo a supportare Fridays for Future, sia tramite le nostre attività online sia partecipando ai presidi e alle manifestazioni.
Il nostro messaggio è chiaro: ognuno di noi può fare la differenza con i suoi comportamenti. Dal modo in cui ci spostiamo, alla nostra alimentazione, a come viviamo e chi scegliamo di affidare i nostri soldi, ogni giorni compiamo scelte importanti. Ma le scelte che possiamo compiere sono quelle che il sistema ci offre, per questo oltre alle azioni individuali siamo consapevoli che è necessario un cambio di paradigma.
Per concludere, citiamo ancora una volta la pagina italiana di Fridays for Future:
“Capiamo, sappiamo perfettamente che il mondo è complicato e che ciò che chiediamo potrebbe non essere facile, ma anche la crisi climatica è estremamente complicata, ed è diventata un’emergenza. Nelle emergenze non ci si trincera nella propria comfort zone, si prendono decisioni che non sono né comode né piacevoli. E parliamoci chiaro: non c’è niente di facile, comodo o piacevole in questa emergenza climatica ed ecologica.”