Dimenticate i mercatini delle pulci con solo abiti del nonno! Al giorno d’oggi i modi per acquistare usato sono aumentati, così come l’offerta di merce, e se pensate che non faccia per voi o che sia fuori moda, vi farà piacere scoprire che è uno degli ultimi trend.
Dalle ultime ricerche di GlobalData, società specializzata nell’analisi del settore retail, emerge infatti che il mercato dell’abbigliamento usato ha raggiunto negli Usa un valore di 24 miliardi di dollari nel 2018 e si prevede che triplichi nei prossimi 10 anni.
Dati impressionanti, soprattutto se confrontati col fatturato totale dei marchi fast-fashion, pari a 35 miliardi di dollari e con minori stime di crescita.
Fra 10 anni, afferma il report, nel guardaroba delle donne americane il 13% dei vestiti sarà di seconda mano, rispetto all’attuale 6%.
Tornando in Italia, circa la metà degli italiani ha comprato e/o venduto usato nel 2017 e i cosiddetti Millennials (nati negli anni ’80-’90) sono i più attivi rispetto alla media.
Non si parla solo di abiti, ma anche di altra merce: tra i più importanti in termini di valore ci sono: Motori (€ 15 mld), seguiti da Casa&Persona (€ 3,6 mld) ed Elettronica (€ 1,3 mld).
Le motivazioni che spingono a comprare usato sono varie (http://www.retezerowaste.it/2019/01/04/10-motivi-mercatini-dellusato/ ) ma secondo le statistiche si tratta principalmente di concludere un buon affare con un risparmio notevole (70%), di poter trovare pezzi unici, d’antiquariato o non più in commercio (35%), oltre alla possibilità di conquistare l’oggetto dei desideri perfetto per le proprie necessità e passioni (10%).
D’altra parte potreste volervi alleggerire dopo una
cernita dei beni che non utilizzate più (55%), acquistarne altri sia nuovi che usati (21%) o ricavarne un guadagno (19%).
Nel 48% dei casi il bene viene salvato dalla discarica e usato dal suo nuovo proprietario fino alla fine del suo ciclo vitale; il 26% viene collezionato e conservato, e una minima percentuale viene rivenduta.
La terza edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy, secondo quanto riportato dall’agenzia Doxa, evidenzia come la popolazione italiana sia costantemente interessata a comprare e vendere usato in particolare online; d’altronde sono sempre più le applicazioni e i siti dedicati, meglio se divisi in categorie di beni e varie fasce di prezzo.
In particolare, compriamo un’enorme quantità di vestiti, pari a circa 80 miliardi di capi di abbigliamento ogni anno, che vengono indossati meno di una decina di volte l’uno. Di questi ne finisce in discarica circa l’85% e se ne ricicla solo l’1%.
Il settore della moda risulta così uno dei più inquinanti, con il 20% dello spreco globale di acqua e il 10% delle emissioni di anidride carbonica e gas serra.
Le coltivazioni di cotone tradizionale determinano il 35% dell’uso di insetticidi e pesticidi, e solamente 0,5% del cotone prodotto a livello mondiale è biologico (fonte report Textile Exchange 2018).
Questo significa che vestirsi sta diventando un problema ambientale: si produce tanto, si inquina tantissimo e poi si butta via praticamente tutto.
Cavalcando l’onda, sempre più siti di moda stanno aggiungendo sezioni dedicate a marketplace vintage e marchi sostenibili.
Questi ultimi includono capi creati con materiali di origine naturale, in fibre biologiche, di recupero o abiti rinnovati stile re-fashion.
Ricordiamo che quando si parla di sostenibilità le situazioni andrebbero osservate a 360°, per cui oltre al materiale, dovremmo tenere in considerazione anche le condizioni dei lavoratori, delle fabbriche e dell’ambiente, perché vari marchi fast-fashion stanno creando collezioni “sostenibili” ma mantenendo le 52 stagioni e i loro standard sociali.
L’acquisto usato, oltre che essere attualmente il trend più in voga, è una pratica sostenibile che fa risparmiare risorse visibili e non.
Mediamente, un modello circolare consente di evitare ogni anno l’emissione di 100.110 tonnellate di CO2, ma volendo fare un esempio concreto, secondo l’Istituto Svedese di Ricerca Ambientale (IVL), acquistando una semplice maglietta usata, il risparmio è di 7,2 chili di CO2, ovvero una quantità pari alla produzione di 11 chili di pasta, mentre un paio di jeans usati permette di risparmiare 33,4 chili di anidride carbonica ed un paio di sneakers 13,6 chili (dati certificati LCA).
Nell’ottica di favorire una crescita sostenibile e di interrompere la linearità del classico percorso produzione-distribuzione-consumo-rifiuto, la speranza è che tutti comprendano le potenzialità del mercato dell’usato e ne facciano buon uso.
Giustissimo!
Anch’io da quando so quanto inquina l’industria dell’abbigliamento (leggendo “Siete pazzi a indossarlo” di Elizabeth L. Cline, punto solo su riuso e capi sostenibili.
Andate avanti così, l’informazione è la prima cosa.
Lo devo confessare fino a qualche anno fa compravo un sacco di vestiti magari attirata dal orezzo basso e poi o lo indossavo un paio di volte o neanche una, poi complice il fatto di aver un budget da rispettare ho tenuto solo i capi che mettevo-dando il resto in parrocchia-, comprando solo se ne avevo realmente bisogno e con un occhio critico verso i materiali…al mercatino si possono fare grandi affari cosi come negli swap party!